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Futuro imperfetto - I 1001 mondi di Philip K. Dick

Cultura e società


FUTURO IMPERFETTO

I 1001 MONDI DI PHILIP K. DICK

ventodiscirocco.net

di Gigi Stabile


Scritto per il Quotidiano di Basilicata (5 dicembre 2008)


"Avete l'impressione che qualcuno si stia sintonizzando sui vostri pensieri? Siete sicuri di essere veramente soli? Forse qualcuno che non avete mai incontrato sta prevedendo le vostre azioni? Qualcuno che voi non invitereste mai, né vorreste incontrare a casa vostra?" Ecco allora il rimedio: rivolgersi a qualche organizzazione di prudenza e di sicurezza. "Vi dirà subito se siete realmente vittima di intrusioni non autorizzate, e poi, in base alle vostre disposizioni, le neutralizzerà….ad un costo accessibile".
Anche se, dopo avervi liberato dalle intrusioni indesiderate, non riuscirà mai a liberarvi dal dubbio che anche queste organizzazioni siano dei racket; che si limitano a sbandierare una necessità, quella dei loro servizi, di cui in realtà non c'era assolutamente bisogno.
Se la situazione vi risulta familiare sappiate che queste parole, contenute nel romanzo
Ubik, risalgono al 1969. Poco importa se Philip Dick, l'autore, le associa a fenomeni di telepatia e precognizione. E' sufficiente un piccolo spostamento in un diverso campo di applicazione, quello dei calcolatori elettronici e della telematica, per rinnovarne sia le sensazioni che i timori e gli inquietanti dubbi.

Philip K. Dick era nato a Chicago il 16 dicembre del 1928 insieme a Jane, sua sorella gemella, che sarebbe morta dopo pochi giorni.
Philip avrebbe risentito negli anni degli effetti di quella perdita, vagheggiando nei giochi prima, nella vita reale dopo ed infine nella produzione letteraria una presenza in grado di toccare lo sdoppiamento ed accentuare la schizofrenia dell'autore che avrebbe scelto, nella sua ultima ora, di riposare per sempre accanto alla sua tomba.

Si era avvicinato, negli anni dell'adolescenza, alle riviste di fantascienza e ad autori di genere come Robert Heinlein e A.E. Van Vogt.
Ma già giovanissimo aveva frequentato
Finnegans Wake di Joyce , le Guerre Persiane di Erodoto e i grandi romanzieri del realismo francese.
Si rivelerà decisivo ai fini della sua carriera di scrittore l'incontro con Anthony Boucher.
Questi con il suo vero nome, Anthoy Parker White, recensiva romanzi gialli sulle colonne del New York Times e del S.Francisco Chronicle , con lo pseudonimo di H.H. Holmes scriveva romanzi gialli e sceneggiature per la radio, come Anthony Boucher firmava i suoi racconti di fantascienza. Proprio ad una rivista dello stesso Boucher, Philip Dick vende nel 1954 il suo primo racconto di fantascienza.
Il primo romanzo di una lunga serie,
Lotteria dello spazio , viene pubblicato nel 1955.

Non ha bisogno di almanacchi e sfere di cristallo il giovane Philip per descrivere il futuro; gli bastano pochi tratti, una tecnica narrativa che va via via prendendo consistenza, una capacità visionaria fuori dal comune (che l'uso di droghe e anfetamine avrebbe, in seguito dilatato a dismisura), un'autoironia che non guasta mai e l'accortezza di lasciare dei legami, evidenti o nascosti poco importa, per consentire, anche dagli scenari più fantastici, continui rimandi al grigio mondo di tutti i giorni.
La stessa scienza, ingrediente indispensabile nella costruzione delle storie, assomiglia in maniera sorprendente alla magia, in una sorta di ritorno alle origini che non ha però niente della regressione.

La science fiction era, negli Stati Uniti più che altrove, considerata un genere deteriore, al massimo una letteratura per adolescenti. Era più che legittimo che Dick, scrittore originale e prolifico, pensasse ad una collocazione permanente, con i relativi onori, nella letteratura mainstream, la letteratura cosiddetta seria dei Faulkner, degli Steinbeck, degli Hemingway, dei Dos Passos.
Il conseguimento del premio Hugo, importante riconoscimento per il suo romanzo
L'uomo nell'alto castello (1962) , altrettanto famoso con il titolo La svastica sul sole, gli regala la conferma di essere uno scrittore completo ma anche l'illusione che il grande salto sia stato automaticamente fatto.
Ma forse la sua immagine di scrittore di fantascienza è ormai troppo consolidata o forse i suoi lettori non accettano che Dick, al di fuori di qualche limitata escursione nel "mondo reale", abbandoni quel filone. E infine è forse lo stesso scrittore a riconoscere la valenza espressiva di quegli infiniti universi. E' nella fantascienza, avrà modo di dire, che si manifesta il mondo.

Tra i suoi romanzi che per comodità definiremo "realisti" il più importante resta forse
Confessioni di un artista di merda che, scritto nel 1959, viene pubblicato negli Usa nel 1974 e proposto in Italia solo nel 2002 dall'editore Fanucci che intorno all'opera complessiva dell'artista nordamericano ha costruito il suo progetto editoriale.

E' però l'incontro con il cinema ad assicurare a Dick una fama più vasta e la meritata ascesa senza più ritorno tra i grandi scrittori della seconda metà del novecento.
Ma lo scrittore non avrà modo conoscere gli effetti della notorietà. Un attacco cardiaco, nel marzo del 1982 ne concluderà, a soli 53 anni, la carriera letteraria e l'esistenza.
Proprio poche settimane prima dell'uscita nelle sale cinematografiche di
Blade Runner, uno dei più grandi film di culto di tutti i tempi tratto dal suo romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche?
Il film di Ridley Scott (lo stesso regista dei
Duellanti, Alien, Il gladiatore, Thelma e Louise), interpretato da Harrison Ford e Rutger Hauer, che racconta le vicende di Rick Deckard, un cacciatore di androidi, nella Los Angeles del 2019 (nel romanzo l'azione si svolge a S.Francisco nel 1992) non è che la prima trasposizione cinematografica di un'opera di Philip Dick.

Seguiranno, di lì a breve, tratti da suoi racconti,
Atto di Forza (Total Recall) del 1990 di Paul Verhoeven con Arnold Schwarzenegger alle prese con un irrisolto rapporto con il pianeta Marte, Minority report (2002) di Steven Spielberg con Tom Cruise e Paycheck(2003) di John Woo con Ben Affleck e Uma Thurman.

Fino al più recente
Un oscuro scrutare (2006) di David Linklater con Keanu Reeves, in cui a complicare ulteriormente i già intricati rapporti tra immaginario e reale si inserisce la commistione digitale tra riprese dal vivo e disegno animato.
Per giungere infine a
Next (2007), di Lee Tamahori con Nicolas Cage, tratto dal racconto The Golden Man.

Tutte pellicole che riecheggiano i motivi di fondo della produzione dickiana: gli interrogativi intorno all'identità; il timore che qualcuno pensi al nostro posto o addirittura ricordi per noi; l' ossessione della sorveglianza che sfocia nell' atto estremo di spiare se stessi.

Anche quello degli androidi, macchine che replicano i comportamenti umani, è un tema ricorrente in Dick come in tutta la letteratura del genere.
Macchine dotate di sembianze umane, movimento, parola, autonomia e di qualcosa che assomiglia in modo preoccupante all'intelligenza. Anzi alcuni androidi risultano essere più intelligenti di gran parte degli uomini. Ecco allora emergere prepotentemente quella che è la caratteristica peculiare della specie umana, la più umana delle virtù: l'empatia, ovvero la capacità di immedesimarsi nelle situazioni e nei sentimenti di altre persone, partecipare emotivamente alle loro vicende, cogliere il loro punto di vista.
Tuttavia è lo stesso Dick a farci capire che vi sono uomini (e donne) incapaci di empatia. Sono persone che incontriamo ogni giorno, con cui abbiamo talvolta a che fare. Persone fredde e senza emozioni positive. Sono queste i veri androidi. Quelli più pericolosi.

In attesa di sottoporre il nostro capo ufficio, il nostro vicino e, di nascosto, noi stessi alla verifica del test Voigt-Kampff, vogliamo ricordarlo nell'ottantesimo anniversario della sua nascita.
Insieme ai suoi lettori della prima ora che pure ci sono stati, a quelli che si sono avvicinati in seguito e a quanti, aggiungendosi da domani, troveranno molto più che le vestigia di un avvenire postumo. Un romanziere in grado di trascinarci in un infinito gioco di specchi e di scatole cinesi per poi lasciarci con il dubbio di essere realmente protagonisti (e vittime) delle nostre visioni o appartenere, tutti insieme, ad un sogno fatto da qualcun altro.
Un prolifico e straordinario scrittore che ha inventato mondi fantastici per ricercare il suo mondo, quello esteriore e quello dell'anima. Che ha coniugato i suoi racconti e i suoi romanzi al futuro imperfetto.
L'unico tempo possibile: in quanto figlio, nella fantasia come nella realtà, di un imperfetto presente.


Gigi Stabile




immagine 1 Locandina del film
Blade Runner
immagine 2 Illustrazione da
cognitivedistortion.com
immagine 3 Locandina del film
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