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Mezzogiorno e dintorni
Quando la RAI era un servizio pubblico
di Gigi Stabile
ventodiscirocco.net
L'Unitą / Paese Nuovo (11 dicembre 2002)
Verba volant; ovvero le parole sono destinate a disperdersi senza lasciare traccia.
Eppure per una grandissima parte della vicenda dell'umanitą l'espressione e la trasmissione orale hanno rappresentato il solo mezzo per far rivivere e tramandare leggende e storie, precetti, conoscenze e saperi.
Un arcaico e mitico retaggio di cui č stata ed č tuttora partecipe la radio, la diffusione delle voci a distanza e su vasta scala, che fa registrare il suo avvento in un'epoca che dispone da tempo immemorabile dell'uso dei segni scritti e, da alcuni secoli, dei caratteri di stampa, per non parlare delle immagini in movimento del cinematografo inventato qualche anno prima.
Tocca proprio alla radio, che deve la sua fortuna principalmente al fatto di consentire l'ascolto della musica lontano dai normali luoghi di produzione (sale da concerto, sale da ballo, locali notturni) e addirittura a domicilio, diventare interprete di nuove leggende e nuove storie.
La leggendaria Guerra dei mondi di Orson Welles che, condotta con linguaggio giornalistico ed assoluta spregiudicatezza, determina una tale impressione di realtą da far credere a mezza America di trovarsi sotto la minaccia di un attacco degli extraterrestri e suscitare indescrivibili ed incontrollate scene di panico (1939).
O l'annuncio del lancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki dato dal presidente degli Stati Uniti Harry Truman che, ringraziando l'Onnipotente per avere consentito alla sua nazione di confezionare la terribile arma, lo coinvolge come complice e mandante del pił spaventoso massacro della storia dell'umanitą (1945).
E ancora i trionfi reali della nazionale di calcio nei campionati mondiali del 1934 e del 1938 e i successi, invece soltanto immaginari, delle forze armate italiane nella seconda guerra mondiale.
Il fascismo scopre prestissimo il potere propagandistico del mezzo radiofonico e ne fa un uso massiccio per vantare conquiste belliche, politiche o sociali in realtą inesistenti o quanto meno inconsistenti ed illusorie.
A questo modello guarderanno con un certo e interesse e spesso si rifaranno, a distanza di anni, il primo ed il secondo governo Berlusconi quando decideranno di piegare a fini propagandistici il mezzo televisivo.
Verba volant dicevamo; ma non sempre. Un agile volume di centosettanta pagine, Ernesto de Martino - Panorami e spedizioni, recentemente edito da Bollati Boringhieri, restituisce i testi di alcune trasmissioni radiofoniche curate direttamente dal grande antropologo napoletano negli anni 1953 e 1954.
Si tratta del testo della trasmissione Spedizione in Lucania e di quelli predisposti per la serie Panorami etnologici e folklorici diffusi dal terzo programma radiofonico.
Sono gli anni della ricostruzione nei quali la grande spinta ideale e morale che aveva determinato la disfatta del fascismo e del nazismo ha di fatto cambiato segno e direzione.
Infatti molti personaggi pesantemente coinvolti con quei regimi, variamente camuffati o riciclati, vengono reintegrati in chiave anticomunista nei posti di responsabilitą dell'amministrazione e nei centri di potere.
Si assiste al trionfo della guerra fredda, delle liste nere, della caccia ai comunisti, non importa se autentici o solamente presunti tali.
La Rai, da poco costituita, diffonde attraverso le orchestre alla moda e le loro "scuderie" di cantanti canzonette insulse e rassicuranti, con testi che raccontano di fiori di ogni specie, di colombe e usignoli, di campane, campanili e campanelli.
Canzoni che, contrariamente a quello che avviene nello stesso periodo per il cinema ed in parte per la letteratura, ignorano del tutto e cercano volutamente di ignorare ogni aspetto della vita quotidiana e della societą reale.
Anche dal punto di vista musicale, la stessa idea di una scuderia di cantanti legati agli stessi canoni stilistici ed improntati alle medesime regole interpretative esclude ogni qualsivoglia accenno di diversitą e di originalitą. Le pił famose sono quelle costituite intorno ai direttori d'orchestra maggiormente in auge: Pippo Barzizza e soprattutto Cinico Angelini, decisamente involuti rispetto agli anni precedenti e quindi maggiormente idonei ad assecondare le direttive dell'azienda.
Ma, pur tra infinite contraddizioni, la Rai consente ad un pubblico sempre pił ampio, soprattutto attraverso il terzo programma, di avvicinarsi per la prima volta alla grande musica, alla letteratura ed al teatro.
Il pregiudizio che assegna alla cultura una neutralitą che di fatto non le č congenita apre, pure in una generale situazione asfittica, degli spiragli ad una vasta schiera di intellettuali che si considerano di sinistra.
E permette l'accesso ai microfoni ad Ernesto de Martino gią al tempo apprezzato e stimato ricercatore.
La serie Panorami etnologici e folklorici riferisce attraverso trasmissioni della durata media di mezzora, di ninne nanne e di giochi infantili, di canti dell'amore delle nozze, di lamenti funebri tutti tratti dalla tradizione popolare.
Ecco quindi i bambini che nei loro giochi riproducono, ormai al di fuori di ogni funzione e di ogni pubblica utilitą, quelle che erano un tempo state le occupazioni degli adulti. Ecco l'epilogo del girotondo, il collettivo accovacciarsi conclusivo, che rimanda all' atto terminale (e quanto mai naturale) dell'intero ciclo del cibo. Lo stesso girotondo rinvia ad un tempo arcaico, quando serviva a delimitare e proteggere lo spazio rituale.
Chissą se i girotondini dei nostri giorni, Nanni Moretti e compagni, erano consapevoli di questo significato quando, manifestando intorno al Parlamento, volevano di fatto salvaguardare lo spazio istituzionale dalle intemperanze e dagli eccessi dei suoi stessi occupanti.
Ecco ancora il lamento funebre che, privilegiando con le sue forme stereotipate, cadenzate e ripetitive il momento impersonale, assolve la funzione di attenuare l'insopportabilitą della perdita.
Un lamento che diventa, al tempo stesso, un dovere verso il morto che solo attraverso quel mezzo riesce a riconciliarsi con i vivi.
E poi ancora, a mezza via tra canto e incanto, i cerimoniali dell'amore.
Tutti temi che de Martino approfondirą successivamente in alcuni dei suoi scritti pił maturi: Morte e pianto rituale (1958), Sud e magia (1959).
Un'altra trasmissione (diffusa nel dicembre del 1954) ripercorre la storia e passa in rassegna i riti, le abitudini e le tradizioni delle colonie albanesi di Calabria e Lucania.
Di interesse documentario č il resoconto completo di un dibattito del 1965, proposto dalla radio pochi giorni dopo la scomparsa di de Martino, tra Carlo Levi, Giovanni Jervis e Guido Carpitella, musicologo e collaboratore dello studioso delle tradizioni popolari.
Il volumetto da cui la nostra discussione ha preso spunto, consigliato a quanti vogliano avvicinarsi alla figura di de Martino e alla sua opera, si avvale anche di un'accurata introduzione di Luigi M. Lombardi Satriani (curatore del libro insieme a Letizia Bindi) che si sofferma sui significati e sulla direzione dell' impegno scientifico e meridionalista del ricercatore napoletano. Un aspetto quello del meridionalismo che taluni studiosi considerano un limite e che altri, al contrario, interpretano come un valore aggiunto.
Lombardi Satriani delinea anche il panorama generale degli studi etnologici e antropologici nel quale si inserisce il decisivo contributo di de Martino e ne certifica tutta la sua attualitą.
Letizia Bindi, nella sua postfazione, rileva come le esigenze di divulgazione imposte dal mezzo radiofonico talvolta nascondano alcune delle pił significative intuizioni degli studi di de Martino.
Ma sottolinea anche come, in una stagione di limitata autonomia culturale contrassegnata dalle direttive di una gestione conservatrice e retriva, la Rai riesce a disegnare percorsi culturali volti all'educazione e all'elevazione dei cittadini. Una cosa impensabile ai nostri giorni nel generale clima di appiattimento ed omologazione, di generale ricerca del consenso, di ossessionata ed ossessionante raccolta di pubblicitą della cosiddetta televisione libera.
Abbiamo intenzionalmente destinato alla conclusione della nostra discussione proprio quella trasmissione che aveva invece inaugurato, nel 1953, il rapporto di de Martino con la radio e segnato il punto d'incontro tra le due tradizioni orali, quella antichissima della cultura popolare e quella pił recente del nuovo mezzo di comunicazione.
Si tratta di Spedizione in Lucania che raccoglie gli echi di quella ormai leggendaria ricerca effettuata un anno prima e che vogliamo ricordare oggi a cinquant'anni dal suo compimento.
Lo stesso de Martino sembra quasi volersi giustificare per quel termine, spedizione, pił idoneo per indicare viaggi collettivi di studio in territori lontani e sconosciuti.
Ma non č colpa sua se la maggioranza degli italiani si trova nella situazione di essere del tutto ignara dei modi di vita, delle tradizioni e delle consuetudini di interi gruppi di cittadini della Repubblica e lascia intendere che tanto le ricerche sul campo quanto la loro divulgazione radiofonica sono rispondenti alla dignitą nazionale, rafforzano i vincoli di collaborazione e cooperazione e rappresentano, in tal senso, una testimonianza di patriottismo.
Emergono qua e lą le difficoltą dell'impresa dovute alle iniziali incomprensioni, alle diffidenze, agli immotivati timori. Ma, quando tutto si ricompone, traspare anche la maggiore pregnanza, rispetto alle ricerche che hanno per oggetto popolazioni esotiche e tempi e spazi pił remoti, di un incontro (quello tra lo studioso e l'oggetto di studio) che avviene tra membri della stessa societą, per quanto di classi diverse. Una nuova dimensione che porta de Martino a privilegiare, d'ora in poi, la cultura delle classi subalterne d'Italia ed in particolare del Mezzogiorno e che ha il potere di riuscire, in un processo dialettico, a mettere in discussione le precedenti acquisizioni culturali e le posizioni consolidate.
Ne deriva un campionario di voci che, rincorrendosi e sovrapponendosi, si materializzano abbandonando oggi la pagina scritta come ieri si allontanavano dagli altoparlanti degli apparecchi a valvole. Appartengono a Prudente e a Rosa di Pisticci, a Caterina di Savoia di Lucania, ai braccianti di Irsina, alle donne di Colobraro.
Non cedono al gusto del pittoresco e dell'esotico né offrono quell'impressione di falso e di posticcio che accompagna le rivisitazioni ad uso e consumo dei turisti.
Sono voci che scaturiscono da un passato millenario ma che da quel passato, pur continuando a portarlo dentro, vogliono svincolarsi per dirigersi verso un domani in cui le oscure suggestioni della magia, dell'invidia e del malocchio cedano il posto alla cultura, all'istruzione, alla consapevolezza civile.
Nella certezza (o nell'illusione?) che queste nuove e pił dirompenti forze riescano a disvelare gli autentici ostacoli che si frappongono alla realizzazione di un mondo migliore.
Il tutto contrassegnato dai ritmi dei due cupa cupa di Stigliano ricordati da de Martino: il primo che si ripete uguale a se stesso all'infinito; il secondo che lentamente, quasi inavvertitamente, sembra assumere i toni di un canto partigiano. Un canto che vuole regalare, agli inizi degli anni cinquanta, le promesse ancora possibili di una nuova universalitą.
Ci sembra di sentirla, intorno a noi e dentro di noi, la voce cantilenante di zia Rosa di Grottole mentre intona una vecchia e forse ancora attuale ninna nanna: "Figli son tutti quanti, al di lą dei cavalieri, al di lą dei regnanti, al di lą degli stessi santi. Figli son tutti quanti".
Gigi Stabile
ventodiscirocco.net
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