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Siamo briganti e facciamo paura

Mezzogiorno e dintorni


Siamo briganti
e facciamo paura

ventodiscirocco.net

di Gigi Stabile


L'Unità / Paese Nuovo (25 agosto 2002)


Il tuono dei cannoni scuote l'aria e fa vibrare fino all'ultima pietra il Castello Fittipaldi di Brindisi di Montagna mentre la terra si colora del rosso delle fiamme e del sangue.
E' uno dei momenti del Cinespettacolo del Parco della Grancia, una vasta area naturale della Basilicata ( pochi chilometri prima di Potenza provenendo, attraverso la strada statale 407 Basentana, da Metaponto).
Gli spettatori, sempre numerosissimi, e adeguatamente coperti per proteggersi dalla fresca umidità della sera, vengono catapultati al centro della battaglia circondati come sono dal fragore delle artiglierie e dai bagliori del fuoco.
C'è tra essi chi ha assistito alla rappresentazione già tre o quattro volte e, quasi si trattasse di un primo appuntamento amoroso, si dichiara emozionato come la prima volta.
La storia bandita, questo è il titolo dello spettacolo, narra del brigantaggio e delle sollevazioni popolari del periodo immediatamente successivo alla proclamazione del Regno d' Italia ed alla unificazione della Penisola. Storia di banditi, appunto, ed insieme storia rimossa o relegata oltre i confini dell'ufficialità. Che ci ricorda, qualora ce ne fosse bisogno, come i termini patriota, brigante, eroe, terrorista, resistente, guerrigliero siano facilmente intercambiabili a seconda dei punti di vista di chi è chiamato ad interpretare i fatti e a raccontare la storia.
Storia di contraddizioni e contrasti nell'edificazione di uno stato nazionale che, per quanto realizzata tardivamente, comporta trasformazioni e cambiamenti troppo repentini per i modi di vita e le abitudini del tempo.
Cambiamenti dei quali è impossibile afferrare, al momento, la reale portata e le implicazioni a causa delle differenze, delle diffidenze e delle reciproche incomprensioni.
Da parte delle popolazioni meridionali tenute da tempo in uno stato di soggezione e di ignoranza e tagliate fuori dalle grandi e nuove correnti di pensiero; fin troppo legate ad abitudini ormai consunte e a sorpassati metodi di lavoro tramandati immutabili di generazione in generazione; del tutto ignare anche degli innovativi e più razionali modi di lavorazione della terra; sempre pronte a combattere in nome di un Papa o di un Re in quanto simboli di un potere meno prossimo, e quindi meno oppressivo di quello del signore o del padrone di turno e dei suoi sgherri.
Ma anche, e più colpevolmente, da parte della nuova classe dirigente incapace di dare la benché minima risposta alle richieste delle classi più umili e più oppresse e di interpretarne i bisogni.
La vicenda ruota intorno alla figura di Carmine Donatelli Crocco, prima soldato borbonico, poi garibaldino, infine capo dei briganti.
Comandante di truppe irregolari, è acclamato e temuto dalle popolazioni che lo vedono di volta in volta come eroe, delinquente, vendicatore, portatore di giustizia. E' il momento in cui, pur nell'incapacità di prospettare un qualsiasi progetto di riscossa o di riforma agraria, il banditismo sociale incontra la rivoluzione democratica.
Ma è anche incoraggiato e sostenuto dalle famiglie aristocratiche cadute in disgrazia, dai funzionari rimossi, dagli ufficiali sbandati dell' esercito borbonico, da un settore del clero desideroso di riacquistare gli antichi privilegi. Diventato mezzo consapevole o inconsapevole delle trame e dei disegni altrui la sua azione finisce soprattutto con l' accompagnare ed assecondare il movimento reazionario.
Il tutto è raccontato attraverso le modalità del teatro e del cinema.
Perché di teatro si tratta, autentico teatro popolare, per i temi trattati e per il fatto di svolgersi al di fuori degli spazi consacrati, per la grandissima quantità di pubblico e per la sua composizione.
Il palcoscenico ha un' estensione che nessun teatro al mondo potrebbe nemmeno immaginare e la stessa gradinata che accoglie gli spettatori ha più della curva di uno stadio che dell'anfiteatro classico.
Teatrale è la presenza e la vicinanza degli attori, la loro interazione con il pubblico, la possibilità di far spaziare lo sguardo e di dirigerlo su qualunque punto della scena.
Ma quando la montagna di Brindisi, costellata dei puntini delle luci cittadine, si accende di lampi ed assume le sembianze del logo della Paramount, entra prepotentemente in gioco il cinema.
E partendo dal grande campo d'assieme, il gioco combinato delle luci e dei suoni suggerisce il primo piano.
Cinematografico è anche il flash back che sul filo dei ricordi di un personaggio, zio Martino, consente di ritornare ai primissimi anni del 1800, quando le armate napoleoniche insieme alle illusorie promesse di uguaglianza e libertà, portano anche quel termine di
brigand che bolla come fuorilegge chiunque non sia disposto ad accettare in maniera incondizionata il nuovo potere costituito.
Né può mancare la caratteristica principale di ogni spettacolo cinematografico, la proiezione, che diffonde nello spazio gigantensche immagini fino a quando uno schermo non si apre sul lato della montagna.
Prestano la loro voce ai personaggi della vicenda alcuni grandi protagonisti della scena teatrale e cinematografica italiana : Michele Placido, Lina Sastri, Paolo Ferrari, Orso Maria Guerrini.
La direzione artistica è di Jean François Touillaud mentre la regia scenica e di Victor Rambaldi.
Ma anche i quasi cinquecento attori, danzatori e comparse che si muovono sulla scena meriterebbero di essere citati ad uno ad uno.

Ci limitiamo a ricordane qualcuno, a cominciare da Antonio Mancino che per il terzo anno consecutivo impersona Crocco. Mancino è un giovane attore lucano (una vaga rassomiglianza con George Clooney assicurano le spettatrici più giovani) con qualche esperienza nel teatro e in televisione e la concreta possibilità di poter giocare le sue carte anche nel cinema. Lo affiancano Michele Lioi (zio Martino), Gino D'Angelo (Caruso) e Maria Lucia Bidetto (la brigantessa).
Le musiche, tratte dalla tradizione popolare e dal repertorio contemporaneo (De Gregori, Dalla), e le danze curate dalla coreografa Carmelina Iannelli concorrono adeguatamente al coinvolgimento generale.
E quando Crocco-Mancino-Placido attacca il monologo conclusivo, più di qualche spettatore si sente percorrere da qualche brivido senza che questa volta ciò dipenda dal freddo.
Ma la Storia bandita, fuori dalla finzione scenica, racconta anche di buone idee e della volontà di metterle in atto; della capacità di utilizzare in maniera intelligente le risorse messe a diposizione dalla Comunità Europea, collegandole a quelle naturali ed umane, ricchissime, di questa zona della Basilicata e della necessità di procedere con le proprie gambe; della lungimiranza del Consiglio Regionale e della competenza e capacità di coordinamento degli esponenti della Comunità Alto Basento e del Piano e Progetto di Azione Locale.
La gente è gia sfollata quando Mancino ci raggiunge per ricordarci come il Parco della Grancia e le sue manifestazioni nascano dal concorso e dalla collaborazione di più persone, delle istituzioni e delle associazioni come di tanti entusiasti e volontari. E si sofferma sui significati che assume per un giovane nato in queste contrade la possibilità di dare vita a un personaggio e di rispolverare vicende che fin da scolaretto aveva vissuto, accanto a quella dei libri di testo, in una storia sotterranea ma presente, e per questo più sua.
In lontananza un soldato napoleonico si attarda con un prete ed una contadina. Sono consapevoli di aver partecipato ad una festa collettiva che replicheranno, ogni venerdì e sabato, fino al 22 settembre.
Un opuscolo dimenticato sulle gradinate al quale il vento, improbabile lettore, sfoglia lentamente le pagine promette un' ora e venti minuti di emozioni.
Le emozioni del rito collettivo e della riscoperta storica.
Più quelle del teatro. E quelle del cinema.


Gigi Stabile

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