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Cultura e società
Vuoti di memoria
di Gigi Stabile
L'Unità/Paese Nuovo (29 0tt0bre 2002)
ventodiscirocco.net
La sirena dell'allarme continua insistentemente a suonare ma la catastrofe è ormai in atto e noi spettatori - protagonisti - giocatori siamo catapultati in un'atmosfera livida ed opprimente e lasciati alla mercé di mostruose creature e di inquietanti presenze aliene.
E' una realtà, per fortuna solo virtuale, che si può abbandonare (se si ha la forza o la voglia di farlo) semplicemente spegnendo il computer.
Si tratta infatti dello scenario di uno dei tanti videogiochi di science fiction degli ultimi anni che occupano il tempo e i cervelli delle generazioni più giovani.
C'è da chiedersi se riusciranno ad incidere sulla psiche individuale quanto tanti film, da Casablanca a L'infernale Quinlan, da Taxi driver a Blade runner, da Shining a I soliti ignoti a C' era una volta il West, hanno inciso sull'immaginario collettivo delle generazioni precedenti o se invece passeranno, come ci auguriamo, senza lasciare traccia.
Sono gli stessi giovani che stando ad una notizia di agenzia di qualche settimana fa, ripresa dai più importanti quotidiani, non solo confessano la loro disaffezione nei confronti della storia ma sostengono che, se proprio la devono sopportare, preferiscono, incredibile a dirsi, il modo in cui viene presentata nei salotti di Vespa o di Costanzo.
Precisiamo che non siamo assidui frequentatori di quei salotti e dobbiamo confessare che quando casualmente ci capitiamo (potenza e prodigi dello zapping) finiamo con l'annoiarci dopo pochissimi minuti e siamo costretti a cercare altrove per tentare di alzare la nostra soglia di attenzione.
Ma per quello che possiamo ricordare di quelle trasmissioni, diamo per certo che si parla e si straparla, il più delle volte senza sapere nulla intorno all'argomento in discussione, si urla e ci si agita, si raccontano aneddoti e barzellette, si ride e si piange a comando, si cerca insomma di fare in qualche modo spettacolo preoccupandosi sempre di mostrare il profilo migliore e pubblicizzare e propagandare quanti più prodotti è possibile. Con il conduttore che spesso assume un atteggiamento paternalistico verso gli umili ed una condotta arrogante con chi la pensa diversamente e manifesta comportamenti ruffiani e compiacenti (e talvolta servili in maniera imbarazzante) nei confronti del potente di turno. Sotto questo aspetto la televisione dei compari, Vespa e Costanzo ed altri come loro, non è tanto migliore e non si discosta poi molto da quella delle "comari" evocata su queste colonne da Mario Manfredi (Paese Nuovo, 8 ottobre).
Che in quelle sedi venga presentato qualcosa che abbia anche lontanamente a che fare con la storia è quindi perlomeno dubbio.
A meno che non si voglia parlare unicamente ed esclusivamente di storia della televisione. E sotto questo aspetto la memorabile messa in scena della farsa del "contratto con gli italiani" rappresenta la più grande televendita (altro che Vanna Marchi!) mai realizzata.
Il fatto che il vuoto cicaleccio, le gratuite affermazioni, i non verificabili giudizi e i discorsi perennemente improntati ad un' inesauribile campagna elettorale possano, seppur confusamente, essere percepiti come un fare storia dovrebbe, di per sé, essere sufficiente a far scattare un chiaro ed inequivocabile segnale d'allarme.
E cosa dire di Baldassarre, presidente di un servizio pubblico (la RAI), che in veste di novello magio vuole portare epifanici e privatissimi doni ai suoi amici della destra di governo sotto forma di una riscrittura di tutta la storia dell'umanità a loro esclusivo uso e consumo?
O del Presidente della Regione Lazio che armato di pennarello (nero, si capisce) vuol correggere di persona tutti gli "errori" delle pagine di storia contenute nei testi scolastici ?
A ricordarci come una parte della destra abbia sempre usato la storia ammaestrandola e distorcendola per i propri fini è la storia stessa, quella autentica.
Siamo consapevoli che molti aspetti del passato sono soggetti a controversie; che taluni temi sono particolarmente "sensibili".
Ma riteniamo anche che chi non ha rispetto per il passato probabilmente non tiene in gran conto neanche il futuro.
Allora non possono non preoccupare le affermazioni avventate del Presidente del Consiglio che in un discorso in commemorazione dei soldati americani caduti per liberare l'Italia dai nazisti e dai fascisti, facendo come al solito confusione, parla di crimini perpetrati dai comunisti. O quelle più recenti in ricordo di una vittima della stagione delle tangenti e degli affari illeciti quando, in maniera ancora una volta inopportuna, cerca di pescare nel torbido dimenticando la selvaggia e bieca caccia all'indagato operata dai suoi sodali della Lega Nord e tralasciando il non trascurabile particolare di essere stato egli stesso il maggiore, se non unico, beneficiario dell'operazione "mani pulite".
Tutti hanno potuto seguire queste esternazioni su Rai Uno (e dove se no, recita l'ultimo slogan dell'azienda) e su tutte le altre reti televisive ormai di fatto proprietà di un'unica persona.
Non vogliamo tralasciare le omissioni ed i ritardi della scuola, ora più che mai incapace di collocare la ricerca storica al centro di un progetto in grado di contrastare i pregiudizi e gli stereotipi e di inaugurare modalità di insegnamento che vadano nella direzione di una storia autenticamente europea. Ma non possiamo sottovalutare le responsabilità dei media e della televisione, questa televisione, con il continuo rincorrersi di notizie improntate ai canoni della spettacolarità e selezionate sulla base della loro fruibilità; informazioni da essere, al pari di tutte le merci, consumate immediatamente e quindi prive di cause, di precedenti, di nessi, di conseguenze e di sviluppi.
I giovani di cui stiamo parlando sono stati l'oggetto di un recente dibattito animatosi sulle pagine di Repubblica. Su di loro sono stati riversati giudizi pesanti e talvolta ingenerosi. Frotte di insegnanti si sono trovati concordi con quei giudizi che parlavano di persone incapaci di attivare i processi intellettivi più elementari o di comprendere i fatti più semplici.
Al di là della constatazione di uno stato di fatto, nella ricerca delle cause, sono stati sottovalutati ed ignorati gli effetti della sottrazione della storia operata ai loro danni da un sistema economico che ha deciso di poterne fare tranquillamente a meno. Mentre, al contrario, quei sintomi di stordimento e spaesamento di cui parla l'opinionista di Repubblica, si potrebbero far risalire (oltre che ad anni di esposizione a Paperissima e Scherzi a parte) proprio a quella svalutazione o sparizione della storia che ha fatto venire improvvisamente meno quei tratti essenziali alla costruzione di un'identità personale e di una identità sociale.
Vogliamo concludere il nostro discorso tornando a Vespa: lo ricordiamo in una puntata della trasmissione Novecento di Baudo, quando non fu capace di dare nemmeno una risposta ad una serie di domande incentrate proprio sulla storia del secolo passato, meritandosi gli improperi della sua compagna di gioco, la soubrette di turno (Alba Parietti?) che non smetteva di infierire sul malcapitato giornalista.
Noi non vogliamo infierire a nostra volta, né possiamo pensare che sia stato colto dalla sindrome dell'intervistatore che colpisce chi, abituato a rifilare domande senza mai preoccuparsi di aspettare e ascoltare la replica dell'intervistato, trova estremamente sorprendente che qualcuno possa essere interessato alle sue risposte o possa solamente aspettarsi delle risposte.
Lo riteniamo, più semplicemente, vittima di un vuoto di memoria.
Se momentaneo o persistente, non siamo in grado di giudicare.
Allora esortiamo i giovani a fare a meno di questi inutili maestri e, se proprio vogliono avere un'idea di quello che è la storia e di quello che rappresenta, della sua attualità e della sua necessità, ci permettiamo di invitarli alla lettura (quando ne avranno voglia o saranno in grado di farlo) di due libri.
Il primo è Il mestiere di storico, noto anche come Apologia della storia, dello storico francese Marc Bloch, un classico più volte ristampato da Einaudi, passaggio obbligato per i professionisti della materia come per i semplici appassionati.
Marc Bloch, tranquillo professore universitario, fondatore insieme con Lucien Fevbre della rivista Annales e della relativa scuola che avrebbe rivoluzionato per sempre l'approccio agli studi storici, fu fucilato nel 1944 dai nazisti invasori a causa della "pericolosità" del suo pensiero.
Il secondo è il più recente Sull' utilità della storia di Piero Bevilacqua, già professore presso l'ateneo barese. Il volume, edito da Donzelli e dedicato ad insegnanti e studenti, rappresenta un' appassionata e lucidissima disamina delle ragioni dell'attuale disaffezione nei confronti della storia e dei motivi dei continui tentativi di rimozione o di riscrittura della stessa.
Il resto verrà da sé, altre letture forse, insieme alla possibilità di riconoscere situazioni che si sono già verificate decine e decine di volte; alla capacità di smascherare i millantatori, i ciarlatani e gli spacciatori di moneta falsa; alla volontà di dire no ad ogni proposta sempre più indecente.
Solo allora saranno in grado di giudicare se davvero la difesa dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori o la sua soppressione hanno veramente un valore soltanto simbolico; solo allora potranno rigettare le affermazioni di chi, smentendo gli insegnamenti dei grandi maestri, da Gesù Cristo in poi, considera codardo chi parla di pace ed inneggia invece al primo imbecille con un fucile in mano.
Altrimenti, quando per assuefazione, per convenienza, per calcolo o per pigrizia fisica e mentale i giovani e i meno giovani avranno perso l'abitudine di essere protagonisti e di giocare la partita fino in fondo e si saranno adagiati nel ruolo di inerti spettatori, i guerrafondai di ogni tempo, con la scusa di una guerra giusta oggi, di una guerra umanitaria(!??!) domani, di una guerra necessaria dopodomani, disegneranno per loro i più incerti futuri e più apocalittici scenari.
Ma questa volta non basterà spegnere il computer.
Gigi Stabile
ventodiscirocco.net
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