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La collocazione degli eurodeputati del Pd

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La collocazione degli
eurodeputati del Pd

Ventodiscirocco.net

di Gigi Stabile

Il Quotidiano della Basilicata (24 novembre 2008)




Volutamente ridimensionata e colpevolmente accantonata al momento nella nascita del Pd (quando si puntava più a sottolineare le convergenze che a marcare le differenze), la questione della collocazione degli eurodeputati del partito all'interno del Parlamento europeo è stata prepotentemente rilanciata da un intervento di Gianni Pittella sulle colonne del quotidiano Europa.
L'eurodeputato lucano afferma che non è ulteriormente rinviabile una chiara scelta di campo e la conseguente comunicazione agli elettori, pena una mancanza di chiarezza ed una caduta in termini di credibilità.

Infatti, anche se l'argomento non sembra essere tra quelli che scuotono le coscienze e muovono gli interessi immediati, non è irrilevante conoscere per tempo se i "democratici" eletti all'assemblea di Strasburgo preferiranno sedere a sinistra, sistemarsi al centro o, addirittura, rimanere in piedi.
Poiché è evidente che da quella scelta di campo dipendono gran degli obiettivi da perseguire e dei comportamenti da mettere in atto, delle alleanze da stringere e dei rapporti da allacciare. Da quella collocazione deriva l'inserimento di nuovi tasselli nel grande quadro della definizione dell'identità della nuova forza politica.

L'area che fa riferimento al PSE (Partito Socialista Europeo) risulterebbe l'approdo naturale per una forza che si richiama al riformismo e alle sue tradizioni ma è evidente che una confluenza in quel gruppo potrebbe sembrare una forzatura per quanti, provenienti dalle schiere della Margherita, fanno fatica a riconoscersi appieno o in larga misura negli ideali e nella storia della socialdemocrazia.

Molto più praticabili, di conseguenza, si rivelano forme di intima collaborazione con il PSE che si è detto, attraverso i suoi vertici, perfino disponibile a cambiare denominazione per ritagliare uno spazio su misura per la delegazione italiana.
Soluzione questa che molti osservatori vedono come la più idonea per dare nuova linfa e nuove motivazioni al movimento socialista del vecchio continente.
Resta solo da chiedersi se è veramente pensabile che un Pd, in piena fibrillazione e incerto fino all'inerzia in casa sua, possa di colpo trasformarsi in trascinatore di entusiasmi e catalizzatore di istanze innovative all'estero.

Ecco scaturire allora, tra titubanze e passi indietro, le estemporanee proposte che autorizzerebbero ogni eletto a sedere dove più gli aggrada.

La stessa idea di stare da soli (altra ipotesi in circolazione), oltre ad essere difficilmente praticabile per ragioni di tipo istituzionale, avrebbe la conseguenza di schiacciare la pattuglia degli eurodeputati del Pd tra i giganti del PPE (Partito Popolare Europeo), dello stesso PSE e dell' Alleanza dei liberali e dei democratici e non farebbe altro che perpetuare quella fastidiosa impressione di autosufficienza ed autoreferenzialità, quella voglia (o necessità) di stare da soli, che aveva gia afflitto il nuovo soggetto politico alle elezioni politiche del 13 e 14 aprile.
Il non riconoscersi nelle grandi famiglie della politica europea non farebbe altro che evidenziare il carattere prevalentemente nazionale del Pd, inadeguato per contesti più ampi ed orizzonti più vasti, ed autorizzerebbe distratte, episodiche ed occasionali adesioni alle principali opzioni programmatiche.

Qualunque possa essere la decisione finale, al di là delle osservazioni di Pittella che in gran parte condividiamo, una cosa risulta evidente. A differenza di quanto avviene nella altre democrazie europee, nel panorama politico italiano si registra un grande vuoto, una sorta di buco nero: manca, per una serie di circostanze irripetibili e di vizi ricorrenti, una qualsiasi forza socialista o laburista.
Cosa tanto più straordinaria se si considera l'innegabile contributo assicurato dai socialisti e dall'intera sinistra italiana alla costruzione del Mercato Europeo prima, della Comunità europea dopo ed infine dell'Unione.
Addirittura paradossale in un Paese, il nostro, in cui tantissimi continuano a riconoscersi, sentirsi, proclamarsi socialisti. O a spacciarsi per tali.

A tentare di spiegare questo stato di cose si prestano due ipotesi: o in Italia si è intuito prima che altrove che i partiti socialdemocratici (che pure nel secolo scorso hanno avuto innegabili meriti) hanno ormai esaurito la loro funzione o che ci si trova in presenza dell'ennesima anomalia del sistema politico nazionale.


Gigi Stabile





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