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Cultura e società
Di ruote e di pennelli,
di raggi e di colori
I cento anni del Giro delle Fiandre
ventodiscirocco.net
di Gigi Stabile
ventodiscirocco.net 31 marzo 2013
Chissà quanto pesava la bicicletta di Paul Deman quel 25 maggio del 1913 mentre, avvolto in un involucro di fango, polvere sudore e sangue, tagliava vittorioso il traguardo di Gand.
Chissà per quanto tempo le sue scarpe avevano resistito all'acqua e quante volte gli erano stati utili i tubolari che portava incrociati sulle spalle.
E' suo il nome che apre l'albo d'oro della corsa, nata da un' invenzione di un giornalista, Karel Van Wijnendaele.
12 ore per percorrere l'anello da Gand a Gand (324 km) alla media, che non doveva essere eccezionale nemmeno a quei tempi, di 27 chilometri orari.
Niente lascia presagire che il Ronde van Vlaanderen, il Giro delle Fiandre come lo chiamiamo dalle nostre parti, sia destinato ad un futuro da grandissima classica del ciclismo. 37 concorrenti per la prima edizione, appena una decina in più per quella successiva.
Ci si mette di mezzo anche la guerra, per cui non si corre dal 1915 al 1918.
Per cui quando si riprende, dopo gli eventi bellici, sembra di ricominciare da zero.
La Parigi-Roubaix festeggia nel 1919 la ventesima edizione, mentre la corsa delle Fiandre, snobbata dai corridori stranieri, fatica a decollare. Per di più soffre negli anni '20 la concorrenza della Milano-Sanremo che si corre in giorni molto vicini e per ben quattro volte (1925,1926,1927,1928) nella stessa giornata.
Il primo straniero a vincere la Ronde è lo svizzero Heinrich Suter nel 1923 (doppietta con la Roubaix), ma per molti anni i tre gradini del podio saranno occupati soltanto dai corridori locali.
Durante gli anni della Seconda guerra mondiale Van Wijnendaele, chiede ed ottiene dalle truppe di occupazione il permesso di far disputare la corsa.
Un'intuizione che dovrebbe consentire al fondatore della classica delle Ardenne di ottenere un posto almeno in qualche succursale del Paradiso ma che gli vale invece un'infamante accusa di collaborazionismo.
Bisogna aspettare il 1949 per applaudire un vincitore italiano. E' Fiorenzo Magni, che si aggiudicherà la gara anche nei due anni seguenti guadagnandosi l'appellativo di "Leone delle Fiandre".
Tre successi al pari dei belgi Achiel Buysse, Eric Leman, Johann Musseuw e Tom Boonen nessuno di questi però trionfatore, come il campione toscano, in tre anni consecutivi.
Altri sette italiani riusciranno, nel tempo, ad aggiudicarsi la corsa: Dino Zandegù, Moreno Argentin, Gianni Bugno, Michele Bartoli, Gianluca Bortolami, Andrea Tafi e Alessandro Ballan.
Intanto la "classica" ha guadagnato definitivamente prestigio e consensi al punto che sei ciclisti su dieci la considerano come il più grande obiettivo della carriera. Anche oggi che ha perso due simboli come il Bosberg e il Muro di Grammont.
Come togliere a Parigi la grande torre di ferro e a Milano il panettone!
I campioni, quelli di ieri e quelli di oggi, hanno bisogno di testimoni per dare risalto alle loro imprese.
Ci vorrebbe Pieter Brueghel il Vecchio in questa giornata in cui il Giro delle Fiandre celebra i cento anni, con tutti i suoi pennelli, le sue spatole e i colori per dipingere la partenza della corsa nella Piazza del Mercato di Bruges: la folla rumorosa ma con la dignità che le deriva dalla consapevolezza di partecipare ad un grande evento, l'avvitarsi del percorso, i ciclisti pronti alla mossa. Una babele di voci, incitamenti, esclamazioni prima e dopo il segnale del via.
La temperatura è vicina allo zero ma gli anziani del luogo hanno la sfacciataggine di affermare che non si aspettavano una così bella giornata primaverile.
E non mancano nemmeno quelli che stappano le annate della corsa degustandole, come se si trattasse di bottiglie pregiate.
E tra le preziose etichette sembrano rincorrersi Van Steenbergen 1944, 1946, Chateau d'Yquem Sauternes 1966, Magni 1949,1950,1951, Coste di Valsesia Nebbiolo Faticato 2006, De Vlaeminck 1977, Sagrantino Fongoli 2002, Pollentier 1980, Aglianico del Vulture Federico II 1998, Peter Van Petengem 1999,2003, Romanée-Conti 2001.
Una cantina dei ricordi profonda un secolo, dalla quale tirare fuori visioni, impressioni, emozioni non sempre direttamente vissute ma non per questo meno intense.
Il racconto della corsa (di quella di oggi) tarda a dispiegarsi; troppi i timori, le incognite, le incertezze anche se la naturale ed inevitabile selezione comincia ad imporre i suoi effetti.
Le notizie, nel gruppo dei ciclisti, corrono veloci. Così lo svizzero Fabian Cancellara apprende della caduta di Tom Boonen, uno dei grandi favoriti.
L'anno scorso era toccato a lui rotolare nella polvere e rimetterci una clavicola.
Un rischio sempre presente in una corsa dove l'occupazione principale è quella di schivare scalini, canali, marciapiedi e di non scivolare sulle piastrelle che lastricano le 17 impennate, i cosiddetti muri.
Poi la svolta, nemmeno tanto improvvisa.
Sono Offredo, Hinault e Turgot a cercare, senza troppa convinzione un posto nella Storia.
Tocca successivamente a Jürgen Roelandts, capitano della Lotto-Belisol, assumere il ruolo di animatore, prima da solo e poi in compagnia.
Ma la compagnia, Cancellara e Peter Sagan, non è la migliore per continuare a coltivare sogni di gloria.
Il terzetto procede per qualche chilometro unito in un equilibrio precario.
Poi è il Vecchio Kwaremont, insieme al Paterberg, a sottrarre al Kruisberg (confrontare l'etimologia) scalato in precedenza, l'appellativo di Calvario; è la terza volta nella giornata che i corridori si arrampicano su queste pietre.
Cancellara decide di piazzare l'allungo decisivo.
Non guarda nemmeno il Simone da Cirene di turno che gli si avvicina. Che si preoccupi di chi lo segue!!!
Sente che riuscirebbe a legare il diavolo con un cuscino!
Spinge sui pedali che quasi la bicicletta sembra scappargli via. Farebbe volare allo stesso modo anche l'ingombrante due ruote di Deman.
Non ci sono corvi a volteggiare nel cielo o sulle ruote, non ci sono gazze sulle forche o sulle forcelle, non ci sono simboli infausti intorno. Roba da far girare il mondo su un pollice.
E' Carnevale che ha la meglio su Quaresima.
L'ultimo ostacolo diventa una montagna di polenta al di là della quale c'è la promessa di un albero della cuccagna.
Il viaggio non è finito fino a quando non si scorgono la chiesa e il campanile ma Fabian non perderebbe la gara neanche se fosse costretto a guadare la Schelde invece di attraversarla dall'alto di un ponte. Non oggi almeno.
Si tratta allora solo di comporre l'affresco conclusivo dal quale nemmeno il ritrattista vuole rimanere fuori.
L'abbraccio convinto ed entusiasta della folla di Oudenaarde ad un professionista serio, un campione a cinque cerchi, un cronografo svizzero, per molti versi un lucano. Che cosa chiedere di più e di meglio!
Poi, dopo il traguardo, per Cancellara c'è l'abbraccio intenso, prolungato della sua compagna.
Tra poco una parte degli spettatori si riverserà in qualche taverna per elevare voti e sacrifici a qualche oscuro dio della birra.
L' eroe di giornata, l'eroe di tante giornate, non avrà tempo a sufficienza per assaporare questo trionfo e per immergere le labbra nella bionda bevanda.
E' già partito alla conquista del traguardo di Roubaix di domenica prossima.
Proost!
Gigi Stabile
ventodiscirocco.net
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